La forza del precedente IL MISTERO VON BULOW nasceva dalla sceneggiatura: i limiti di questa storia di una giovane donna che, progressivamente, diventa un doppio della sua co-locataria sono dovuti egualmente alla scrittura. Schroeder filma con fine attenzione agli ambienti, Luciano Tovoli assicura una fotografia di raffinata ambiguità, gli attori sono impeccabili: ma la progressione drammatica - che vorrebbe essere efficace ad ogni costo - è invece prevedibile, l'analisi psicologica schematica. Cosi il film, non volendo (o non potendo) mai sfociare in quel fantastico che potrebbe assicurargli un minimo di dimensione poetica, si attiene ad un realismo che però risulta poco credibile.

Nell'interminabile finale - a metà tra il grand-guignol e l'abilità di tendere all'estremo la tensione nello spettatore - c'è qualcosa che, se voluto, non è privo d'interesse: un parallelo fra l'impossibilità di eliminare la malvagia coinquilina (che non si decide mai a soccombere) e la tenacia antica, la radicata ineluttabilità di quel sentimento psicotico che è alla base della vicenda.